Il silenzio. È quello dietro cui si è trincerato Gaetano Maranzano, l’uomo che ha confessato di aver premuto il grilletto e ucciso Paolo Taormina nella movida di via Spinuzza. Davanti agli inquirenti ha ammesso le sue responsabilità per l’omicidio, ma sulla sua rete di fiancheggiatori è calato il buio. Chi era con lui quella notte? Chi lo ha aiutato a dileguarsi dopo gli spari? Sono queste le domande che guidano ora l’indagine dei Carabinieri, impegnati in una vera e propria caccia all’uomo nel quartiere Zen.
È proprio lì, nella periferia nord di Palermo, che si concentra l’attenzione del Nucleo Investigativo e della Compagnia di Piazza Verdi. Gli uomini dell’Arma stanno setacciando abitazioni e luoghi di ritrovo, passando al setaccio le frequentazioni di Maranzano. Diversi giovani del rione sono stati sentiti in queste ore, nel tentativo di squarciare il velo di omertà che protegge la fuga del killer.
La ricostruzione di quella tragica notte, tassello dopo tassello, rivela che Maranzano non ha agito da solo. Non era un lupo solitario quando dallo Zen ha raggiunto il cuore della città. Con lui c’erano altre persone, alcune delle quali avrebbero partecipato attivamente alla rissa scoppiata poco prima della tragedia. Un testimone chiave ha raccontato di un complice che, con un gesto di sfida, ha schiaffeggiato un cliente del pub, costringendolo a cercare riparo terrorizzato dietro le auto in sosta, a due passi dal Teatro Massimo.
Dopo aver fatto fuoco, Maranzano non si è dissolto nel nulla. È fuggito insieme ad almeno tre amici. E proprio a casa di uno di loro, durante una perquisizione, i militari hanno trovato un indizio fondamentale: le collane che l’assassino indossava quella sera al pub, immortalate anche dalle telecamere di sorveglianza. Un dettaglio che stringe il cerchio attorno al gruppo, ma che ancora non basta a dare un nome e un volto a chi, con la sua presenza e il suo aiuto, si è reso complice di un delitto.