La morte di Simona Cinà, la giovane pallavolista di Capaci trovata senza vita a soli vent’anni nella piscina di una villa a Bagheria, continua a lasciare una scia di dolore e domande irrisolte. Una tragedia avvenuta durante una festa di laurea che ha scosso profondamente non solo la sua comunità, ma l’intera opinione pubblica.
A quasi un mese da quella notte, i genitori Luciano e Giusy, tramite il Giornale di Capaci, insieme ai fratelli Roberta e Gabriele, hanno deciso di parlare, mossi da un bisogno disperato di verità. “Vogliamo sapere cosa è successo davvero a Simona,” affermano con la voce rotta dal dolore. “C’è troppo silenzio, troppa omertà. Siamo convinti che qualcuno sappia qualcosa, ma sceglie di tacere”.
L’esame autoptico ha confermato che la causa del decesso è l’annegamento, dato che nei polmoni della ragazza è stata trovata acqua. Tuttavia, questo dato medico non basta a chiudere il caso. Restano troppe ombre da diradare. Un segno rinvenuto sulla nuca potrebbe essere compatibile con una caduta accidentale, ma gli inquirenti non escludono altre piste, come la possibilità che Simona abbia assunto, anche inconsapevolmente, sostanze che ne hanno compromesso la lucidità. Per questo, saranno decisivi gli esiti degli esami tossicologici.
La vicenda, come sottolineano i familiari, non può essere archiviata come una semplice fatalità. È necessario scavare a fondo per accertare ogni possibile responsabilità e comprendere il contesto in cui si è consumata la tragedia.
Su questo punto si è soffermato anche il giornale locale “L’inchiesta di Bagheria”, che con una lunga e coraggiosa riflessione ha sollevato interrogativi scomodi. Secondo il quotidiano, la villa teatro della tragedia sarebbe stata utilizzata per anni come location per feste ed eventi, apparentemente senza le necessarie licenze e misure di sicurezza. I proprietari, originari di Aspra, sembrano svaniti nel nulla, mentre la gestione dell’immobile resta avvolta in un alone di ambiguità. Chi affittava quella villa? Chi era responsabile dei controlli? E, soprattutto, chi avrebbe dovuto garantire la sicurezza degli invitati quella notte?
Queste sono le domande che pesano come macigni. Il giornale si chiede perché, a differenza di quanto accadrebbe in una normale abitazione privata in un caso simile, la struttura non sia stata posta sotto sequestro e i proprietari indagati per omicidio colposo. Perché, in questa vicenda, sembra esserci una certa fretta di “assolvere” i gestori?
L’editoriale è un atto d’accusa non solo verso chi potrebbe avere responsabilità dirette, ma anche contro il silenzio delle istituzioni locali, che non hanno ancora espresso una parola di vicinanza o una riflessione pubblica su un evento così grave accaduto sul loro territorio.
“Non parliamo del silenzio dovuto alle indagini,” precisa “L’inchiesta”, “ma di un silenzio incomprensibile di fronte a una tragedia che colpisce un’intera comunità. Perché tutta questa omertà?”
Il caso di Simona Cinà, quindi, va oltre il dramma personale. Rischia di diventare l’emblema di un sistema in cui le regole e la sicurezza vengono sistematicamente ignorate. Il dolore dei suoi genitori si unisce alle domande dei cittadini e alle ombre di una gestione “in nero” di una villa per eventi, che per anni avrebbe operato senza controlli né responsabilità. “Non cerchiamo follower o like,” conclude l’editoriale, “vogliamo solo che emerga la verità e che una tragedia simile non accada mai più”.