Ucciso a Palermo, la dura accusa della Chiesa: “Troppo spazio alla cultura mafiosa”, veglia allo Zen

lettura in 3 minuti

Palermo – Un grido di dolore che scuote le coscienze, una riflessione amara che chiama in causa l’intera comunità. Di fronte all’brutale omicidio di Paolo Taormina, un altro giovane la cui vita è stata spezzata dalla violenza, gli Arcivescovi di Palermo, Mons. Corrado Lorefice, e di Monreale, Mons. Gualtiero Isacchi, rompono il silenzio con parole durissime, che pesano come macigni. “Pietrificati. Sgomenti”, esordiscono, descrivendo una tragedia che distrugge non una, ma due vite, travolgendo le rispettive famiglie in un vortice di sofferenza inspiegabile.

Il messaggio dei due presuli non è solo una condanna, ma una profonda e spietata auto-analisi collettiva. “Caino continua ad uccidere Abele”, scrivono, sottolineando come la violenza sia una mostruosità che non appartiene all’identità umana. La loro riflessione si allarga a cerchi concentrici, toccando il fallimento educativo delle famiglie, incapaci di trasmettere il valore sacro della vita, fino a coinvolgere la Chiesa stessa e le Istituzioni. “Dove è finito l’insegnamento dell’Innocente ucciso su una croce?”, si domandano, mettendo in discussione l’efficacia del proprio magistero.

L’analisi si fa ancora più tagliente quando punta il dito contro la cultura della città. “Quanto spazio abbiamo dato al culto del potere, dell’avere, della bruta forza?”, chiedono Lorefice e Isacchi, identificando in questo l’humus che alimenta da sempre le mentalità mafiose. Una cultura di morte, secondo gli arcivescovi, che si è infiltrata subdolamente nel tessuto sociale, convincendo molti che “nulla mai cambierà”. E da qui, la sensazione devastante di un fallimento generale: “come genitori, come educatori, come Chiesa, come Istituzioni”.

Ma non ci sono solo domande e accuse. C’è un appello forte e chiaro a una svolta, a trasformare questo ennesimo bagno di sangue in un’opportunità di rinascita. La soluzione, per gli Arcivescovi, non può limitarsi a un maggiore presidio dei quartieri a rischio o dei luoghi della movida. Serve una “politica della cura”, un impegno corale delle istituzioni civili, militari, scolastiche e religiose per occuparsi dei cittadini più fragili, spesso relegati in periferie non solo urbanistiche ma anche esistenziali. “Se non partiamo dai più poveri – dagli scarti umani generati dalla nostra cultura – non potrà mai esserci una convivenza serena”, avvertono.

Per trasformare le parole in un gesto concreto, gli Arcivescovi invitano l’intera cittadinanza a un momento di raccoglimento e preghiera. L’appuntamento è fissato per sabato 18 ottobre alle ore 21.00 allo ZEN, nell’atrio antistante la chiesa di San Filippo Neri, in via Fausto Coppi. Un invito esteso a tutti, in particolare ai giovani che animano la movida, per trascorrere un “sabato sera alternativo”, scegliendo di “esserci” e di portare luce dove oggi regnano emarginazione e disperazione. Un modo per ricordare Paolo e tutte le giovani vittime di violenza, e per affermare con forza che “dalle ceneri e dal sangue” può e deve rinascere la vita.

Continua a leggere le notizie di DirettaSicilia, segui la nostra pagina Facebook e iscriviti al nostro canale News Sicilia
Nessun commento