Si arricchisce di un nuovo, inquietante capitolo la vicenda legata al brutale omicidio di Paolo Taormina, il giovane gestore di un pub palermitano freddato con un colpo di pistola alla nuca nella notte dell’11 ottobre. La Procura di Palermo ha iscritto nel registro degli indagati Vincenzo Viviano, un amico stretto di Gaetano Maranzano, l’uomo che ha premuto il grilletto. L’accusa, pesantissima, è di false informazioni al pubblico ministero.
Viviano non è un nome qualunque in questa tragica storia. Le telecamere di sorveglianza, che hanno immortalato la sequenza agghiacciante del delitto, lo mostrano protagonista di una rissa con la stessa vittima pochi istanti prima dello sparo. Un alterco che Paolo Taormina, nel suo ruolo di gestore, aveva cercato di sedare, uscendo dal locale. Subito dopo l’esecuzione, è proprio a Viviano che l’assassino Maranzano avrebbe consegnato i suoi gioielli, un gesto disperato per tentare di non essere riconosciuto durante la fuga in scooter.
Con l’iscrizione di Viviano, sale a cinque il numero di persone vicine al killer dello Zen finite sotto la lente degli inquirenti. Si consolida così l’ipotesi che attorno a Maranzano si sia stretto un muro di omertà e bugie, un tentativo di depistare le indagini e di coprire la sua fuga e le sue responsabilità. I magistrati stanno lavorando senza sosta per ricostruire non solo i momenti dell’omicidio, ma anche e soprattutto le ore successive, per capire se l’assassino abbia ricevuto aiuto e protezione.
Ma dietro l’accusa di false dichiarazioni si profila uno scenario ancora più terribile. Gli investigatori non escludono che la rissa che ha attirato Paolo Taormina fuori dal suo pub non sia stata un evento casuale, ma una vera e propria messinscena. Una trappola studiata a tavolino con un unico, spietato obiettivo: farlo uscire allo scoperto per poterlo uccidere. Se questa ipotesi venisse confermata, il ruolo di Viviano e degli altri amici coinvolti si aggraverebbe drammaticamente, trasformando un delitto d’impeto in un’esecuzione premeditata.