La Corte d’Appello di Palermo ha emesso la sentenza nel processo contro il clan Sciarabba, accusato di estorsione ai danni di imprenditori locali. Cosimo Sciarabba, figlio del boss Salvatore, è stato condannato a 13 anni e 4 mesi di reclusione. Alessandro Ravesi, suo stretto collaboratore, ha ricevuto una pena più severa, pari a 17 anni. Salvatore Baiamonte è stato condannato a 10 anni e 4 mesi. Un quarto imputato, Benedetto Badalamenti, è deceduto nel corso del procedimento giudiziario.
Imprenditori coraggiosi e l’azione di Addiopizzo
Le accuse a carico degli imputati si fondavano su richieste di pizzo rivolte a diversi imprenditori del territorio. Alcuni di questi, supportati dall’associazione antiracket Addiopizzo, hanno trovato il coraggio di denunciare le estorsioni, costituendosi parte civile nel processo. Questa collaborazione tra cittadini e forze dell’ordine si è rivelata fondamentale per l’esito dell’inchiesta.
Un’indagine multiforme: dalle denunce alle intercettazioni
L’attività investigativa, condotta dai Carabinieri della Compagnia di Misilmeri e del Comando Provinciale, ha potuto contare su una solida base probatoria. Alle denunce delle vittime si sono aggiunte le tradizionali tecniche investigative: perquisizioni, sequestri, analisi dei tabulati telefonici e delle celle di posizione, intercettazioni ambientali e telefoniche, nonché l’esame delle immagini registrate dalle videocamere di sorveglianza presenti nella zona. Cruciale si è rivelato anche il contributo delle dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia.
Il video dell’estorsione: una prova schiacciante
Un elemento di particolare rilievo nell’impianto accusatorio è rappresentato da una registrazione video effettuata con un telefono cellulare da uno degli imprenditori taglieggiati. L’uomo, dopo essere stato avvicinato per la richiesta della cosiddetta “messa a posto”, è riuscito a filmare alcuni momenti della trattativa estorsiva, documentando la richiesta esplicita di denaro. Questo filmato ha costituito una prova inconfutabile per l’accusa.
L’impianto GPL di Portella di Mare: il centro dell’inchiesta
L’episodio centrale dell’indagine ruota attorno alla richiesta di denaro rivolta a un’impresa impegnata nella realizzazione di un impianto di distribuzione GPL a Portella di Mare, frazione di Misilmeri. Gli investigatori hanno notato la presenza nel cantiere di un nuovo escavatore, acquistato per 140.000 euro, un dettaglio che potrebbe aver attirato l’attenzione del clan.
Dalla foto al colpevole: l’intuizione degli investigatori
I Carabinieri sono riusciti a identificare l’emissario del clan grazie a una fotografia scattata di nascosto con un cellulare. Dall’immagine del motorino utilizzato dall’uomo, gli inquirenti sono risaliti alla targa del veicolo e, tramite la Motorizzazione Civile, al proprietario dell’Honda SH 300. Il confronto dei dati anagrafici con il profilo Facebook del sospettato ha permesso di confermare la sua identità, incastrando non solo lui, ma anche i vertici dell’organizzazione criminale. Le registrazioni dell’incontro in cui veniva chiesto il pizzo, effettuate dall’imprenditore con il proprio cellulare, hanno completato il quadro probatorio.