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La beffa dopo il femminicidio: niente giustizia per Sara, ma un (possibile) risarcimento per la famiglia del suo killer

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Una tragedia nella tragedia, un paradosso che lascia l’amaro in bocca e riapre una ferita mai chiusa. La vicenda del femminicidio di Sara Campanella, la studentessa di 22 anni strappata alla vita a coltellate a Villafranca Tirrena, si arricchisce di un capitolo tanto assurdo quanto doloroso. Mentre per la famiglia della giovane vittima la strada verso un risarcimento concreto è sbarrata, per i genitori del suo assassino, Stefano Argentino, si apre uno spiraglio per chiedere i danni allo Stato. Il motivo? Il suicidio del ragazzo nel carcere di Gazzi, un gesto estremo che estingue il processo ma accende i riflettori su un cortocircuito della legge italiana.

**Il suicidio in cella: una “tragedia annunciata” che ora può costare allo Stato**

Stefano Argentino, 27 anni, si è impiccato in cella prima che il processo per l’omicidio di Sara potesse iniziare. La sua morte non è stata un fulmine a ciel sereno. Il giovane era stato sotto stretta sorveglianza per il rischio di gesti autolesionistici, una misura poi revocata nonostante i segnali di allarme non fossero cessati. “L’unica responsabilità è dello Stato”, ha tuonato il suo legale, Giuseppe Cultrera, che aveva richiesto invano una perizia psichiatrica. Queste parole non sono solo una difesa, ma preannunciano una probabile azione legale contro l’amministrazione penitenziaria per omessa vigilanza.

La legge italiana, infatti, è molto chiara: lo Stato ha il dovere di proteggere la vita e la salute di chi è detenuto, come sancito dalla Costituzione e da numerose sentenze, anche della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Se viene accertata una negligenza nella sorveglianza, i familiari di un detenuto suicida possono ottenere un risarcimento. Sulla morte di Argentino è stata aperta un’inchiesta e disposta l’autopsia per fare luce su eventuali falle del sistema.

**Un dolore senza giustizia: per la famiglia di Sara solo le briciole**

Dall’altra parte di questa storia c’è il dolore senza fine dei genitori di Sara Campanella. Con la morte del reo confesso, il processo penale si è estinto. Questo significa che non ci sarà mai una sentenza di condanna. Senza una condanna, e con un patrimonio dell’assassino risultato inesistente, la famiglia non ha nessuno su cui rivalersi per i danni subiti.

L’unica, magra consolazione è il fondo statale per le vittime di reati violenti, previsto dalla legge 122/2016. Questo fondo prevede un indennizzo massimo di 50.000 euro in caso di omicidio. Una cifra che suona più come un’elemosina che come un vero ristoro, un importo simbolico che non potrà mai colmare il vuoto lasciato da Sara né compensare le conseguenze di una vita spezzata. Un paradosso normativo che umilia il dolore delle vittime e mostra il volto più crudele e inefficace della burocrazia.

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Redazione Web

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