Una spada di Damocle pende sull’economia siciliana. La minaccia di nuovi dazi al 30% da parte degli Stati Uniti, storico partner commerciale dell’isola, ha già innescato una reazione a catena che rischia di trasformarsi in una crisi sistemica. Le prime avvisaglie sono concrete e allarmanti: una pioggia di disdette sta colpendo gli ordini di prodotti agroalimentari, con l’olio extravergine d’oliva in prima linea. Per la Sicilia, che guarda al mercato americano come a uno sbocco fondamentale, si profila uno scenario da -50% sulle vendite, un colpo durissimo per un tessuto produttivo già messo alla prova da sfide strutturali.
Un’ipoteca da un miliardo: i conti della crisi annunciata
Le stime economiche dipingono un quadro a tinte fosche. Secondo le proiezioni del centro studi della CGIA di Mestre, il danno potenziale per l’export siciliano potrebbe raggiungere la cifra vertiginosa di un miliardo di euro. Questa analisi, che proietta su scala regionale gli effetti di una contrazione nazionale stimata tra i 30 e i 35 miliardi, posiziona l’Isola tra le regioni che pagherebbero il prezzo più alto del protezionismo americano. La perdita diretta, calcolata in mezzo miliardo di euro, verrebbe raddoppiata dall’indotto e dalle ricadute indirette. Un crollo che andrebbe a vanificare le performance eccezionali del 2023, quando il valore delle esportazioni siciliane verso gli States aveva superato 1,26 miliardi di euro, un traguardo che sembrava poter essere replicato anche quest’anno.
Olio extravergine: l’oro verde siciliano sotto scacco
Il settore olivicolo è l’epicentro del terremoto. “Se il presidente Trump concretizzerà la minaccia dei dazi al 30%, le nostre aziende subiranno una batosta durissima”, afferma senza mezzi termini Mario Terrasi, presidente di Oleum Sicilia, organizzazione legata a Coldiretti. I numeri parlano chiaro: il 50% dell’export di extravergine siciliano è diretto proprio verso gli Stati Uniti. “Oltreoceano movimentiamo più olio noi che la Puglia”, precisa Terrasi per sottolineare la portata del legame commerciale.
L’impatto sul prezzo finale sarebbe inevitabile: una bottiglia venduta oggi a 9 euro all’importatore, con un dazio del 30% schizzerebbe a 11 euro. Sullo scaffale dei supermercati americani, il prezzo medio di 25 dollari potrebbe facilmente superare i 28. Il vero nodo, però, è a monte: l’importatore sarà disposto ad assorbire un simile aumento dei costi? I segnali attuali suggeriscono di no. Gli ordini per il mese di agosto sono in stallo, bloccati dall’incertezza. Si teme inoltre che i dazi possano entrare in vigore con la merce già in viaggio, costringendo gli acquirenti a pagare la differenza allo sbarco. “L’orizzonte è nero”, conclude Terrasi, “non solo per le nostre aziende, ma per lo stesso consumatore americano, che vedrà l’inflazione salire alle stelle”.
Anche il vino trema: timori di speculazione e crollo degli ordini
Le preoccupazioni non si limitano all’olio. Il settore vitivinicolo, altro fiore all’occhiello del Made in Sicily, guarda alla situazione con estrema apprensione. Graziano Scardino, presidente della Cia Sicilia, ricorda che il vino rappresenta una fetta consistente dei 200 milioni di euro generati annualmente dall’export agroalimentare verso gli USA. Più che un calo della domanda finale, Scardino teme “il dilagare di speculazioni degli importatori a danno delle aziende dell’Isola”. Il ragionamento è sottile: un consumatore americano abituato a pagare 30 dollari per un vino siciliano di pregio potrebbe non essere scoraggiato da un aumento di 9 dollari. È l’importatore che, forte della nuova leva tariffaria, potrebbe chiedere sconti drastici ai produttori, minacciando di interrompere gli acquisti. In questo modo, il costo dei dazi verrebbe scaricato interamente sulle imprese siciliane.
Un allarme condiviso da Mariangela Cambria, presidente di Assovini Sicilia, che ricorda come il Nord America sia “il secondo mercato d’esportazione per l’82,6% delle nostre imprese”. Perdere anche solo una frazione di questo mercato, che secondo dati Svimez vale 50 milioni di euro l’anno solo per il vino, sarebbe un danno difficilmente recuperabile.
Un’economia fragile di fronte alla tempesta: il peso dell’insularità
La minaccia dei dazi si abbatte su un sistema già vulnerabile. Il coordinamento delle Partite Iva siciliane evidenzia come le imprese locali combattano quotidianamente contro svantaggi strutturali. “La Sicilia subisce la concorrenza sleale di merci provenienti da Paesi con regole ambientali e del lavoro meno stringenti”, denunciano dal coordinamento. A questo si aggiunge il fardello dell’insularità, che si traduce in maggiori costi di produzione, trasporto ed energia. Come sottolinea Maria Francesca Briganti, “l’aspetto che deve allarmare è il continuo aumento dell’inflazione, i costi dell’insularità che discriminano le PMI e il progressivo impoverimento dei siciliani”. La sfida per l’agroalimentare siciliano è duplice: resistere alla tempesta globale e, allo stesso tempo, trasformare i propri svantaggi strutturali in un’opportunità di competitività unica.