Lingua siciliana, l’appello di 50 poeti: “È già scritta, ora il riconoscimento ufficiale”

PALERMO – Il siciliano non è un dialetto da relegare al focolare domestico o al folclore, ma una lingua viva, pulsante e, soprattutto, già scritta. Una lingua che possiede una sua forma letteraria consolidata, affinata da secoli di produzione artistica e oggi portata avanti con orgoglio da decine di autori contemporanei. È questo il messaggio forte e chiaro che emerge da una lettera-appello sottoscritta da più di cinquanta poeti, scrittori, autori teatrali, giornalisti, cantautori e “cuntisti”. Un’iniziativa nata per orientare il dibattito istituzionale verso un’unica, ineludibile verità: il siciliano merita un riconoscimento ufficiale che ne tuteli la dignità e ne assicuri la trasmissione alle future generazioni.
La voce degli autori: “La Lingua nasce e cresce con chi la scrive”
L’appello nasce dalla volontà di affermare un principio spesso trascurato nel dibattito pubblico: la vitalità di una lingua si misura anche e soprattutto attraverso la sua espressione letteraria. “Sono i poeti e gli scrittori a dare forma e dignità alla lingua, a plasmarla con i loro versi, con i loro racconti, con le loro opere”, si legge nel testo. I firmatari, che quotidianamente usano il siciliano come materia viva della loro arte, respingono l’etichetta riduttiva di “dialetto”, sottolineando l’esistenza di grammatiche, dizionari e una tradizione letteraria che spazia dai grandi classici agli autori moderni.
La loro non è una rivendicazione astratta, ma una constatazione basata sulla pratica. La lingua siciliana, si afferma nella lettera, è “poesia, storia, resistenza, una eco delle voci di generazioni che hanno plasmato la nostra identità”. Chiedono quindi che le istituzioni culturali e politiche prendano atto di questa realtà e forniscano strumenti concreti di tutela, per evitare che un patrimonio di inestimabile valore venga condannato all’estinzione.
Un falso mito da sfatare: lo standard scritto e la tutela delle varietà locali
Uno dei nodi centrali affrontati dagli autori riguarda la preoccupazione, spesso sollevata da chi si oppone all’ufficializzazione, che l’adozione di uno standard scritto possa soffocare le innumerevoli e ricche varianti locali. Una tesi che i firmatari smontano con fermezza: “Niente di più falso”.
Secondo gli intellettuali, il siciliano possiede già un suo “registro alto”, una lingua letteraria sufficientemente omogenea, utilizzata nel corso dei secoli e ancora oggi in evoluzione. Questo standard, lungi dall’essere un’imposizione artificiale, agisce come un’ancora di salvezza. “Come in altre realtà linguistiche europee, avere uno standard di riferimento per lo scritto non significa negare la varietà, ma tutelarla”, precisano. Le parlate locali continuerebbero a prosperare nei contesti informali, ma la presenza di una forma scritta riconosciuta garantirebbe alla lingua un prestigio e una continuità indispensabili per la sua sopravvivenza. La citazione del professor Alfonso Campisi, ordinario di Filologia Romanza, è lapidaria: “Una lingua che non si vuol far scrivere rischia di essere dimenticata e relegata a un ruolo marginale”.
Il disegno di Legge all’Assemblea Regionale Siciliana
L’iniziativa non si limita a una dichiarazione di principio, ma si ancora a un percorso istituzionale ben preciso. I sottoscrittori chiedono un sostegno esplicito al Disegno di Legge-Voto depositato all’Assemblea Regionale Siciliana (ARS) lo scorso 16 maggio. Quel testo rappresenta, ai loro occhi, l’opportunità per trasformare le aspirazioni in legge, garantendo al siciliano l’insegnamento nelle scuole e un sostegno attivo da parte delle istituzioni.
Sostenere l’insegnamento del siciliano, chiariscono, non è un atto di campanilismo né una minaccia all’unità linguistica nazionale. Al contrario, significa “arricchire il patrimonio culturale e intellettuale delle nuove generazioni”, offrendo loro una maggiore consapevolezza delle proprie radici.
Una battaglia per l’identità
La conclusione dell’appello assume i toni di un manifesto culturale. La difesa della lingua siciliana trascende la linguistica per diventare una questione identitaria. Non è una battaglia di retroguardia, ma un investimento sul futuro, un modo per preservare l’anima di un popolo.
“La nostra lingua è canto, è racconto, è memoria”, concludono gli autori. “Difenderla significa difendere il nostro essere siciliani, significa difendere una parte importante della ricca e variegata cultura d’Italia”. Un messaggio che non si rivolge solo alla politica, ma a ogni singolo siciliano, chiamato a farsi custode di un tesoro che appartiene a tutti.