Un’imponente operazione antimafia ha portato all’arresto di 183 persone appartenenti a diverse famiglie mafiose di Palermo e provincia. L’inchiesta, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia, ha svelato l’organigramma dei clan, i loro affari e l’ennesimo tentativo di Cosa Nostra di ricostituire la Cupola provinciale, sfruttando un mix di strategie tradizionali e moderne tecnologie.
Da un lato, il ritrovamento di un vecchio statuto dell’organizzazione, custodito segretamente, testimonia il legame con il passato e le radici profonde della mafia. Dall’altro, l’utilizzo di chat e videochiamate per organizzare riunioni e impartire ordini dimostra la capacità di adattamento ai tempi e l’adozione di nuove strategie per sfuggire alle indagini.
L’operazione ha azzerato quattro mandamenti mafiosi – Porta Nuova, Tommaso Natale-San Lorenzo, Santa Maria di Gesù e Bagheria – e le relative famiglie, coinvolgendo anche figure chiave a Pagliarelli e alla Noce. Tra i nomi emersi spiccano quelli di Tommaso Lo Presti, Stefano Comandè, Francolino Spadaro, i fratelli Nunzio e Domenico Serio, Francesco Stagno, Guglielmo Rubino, Gino Mineo e Giuseppe Di Fiore.
I precedenti tentativi di riorganizzare la cupola mafiosa, come quelli del 2008 e del 2018, sono stati stroncati dalle forze dell’ordine. Nonostante ciò, la mafia palermitana ha continuato a cercare di serrare i ranghi per “camminare e ingrandire”, come emerso dalle intercettazioni.
Francesco Colletti, ex capomafia di Villabate, aveva già parlato di un regolamento scritto conservato a Corleone. L’esistenza di questo “statuto” è stata confermata in una riunione del 2022 a Butera. Consapevoli di essere sotto controllo, i boss hanno abbandonato le riunioni in presenza, preferendo chat e videochiamate.
Minuscoli cellulari e migliaia di SIM vengono introdotti nelle carceri, consentendo ai detenuti di continuare la loro attività mafiosa tramite videochiamate. Un cellulare “esterno” funge da “citofono” per collegare i boss detenuti alle riunioni virtuali. I carabinieri, però, sono riusciti a intercettare queste comunicazioni, sorprendendo diversi boss in flagrante.
I Lo Presti, ad esempio, hanno organizzato il pestaggio di Giuseppe Santoro tramite una serie di telefonate, impartendo istruzioni e assistendo all’aggressione in diretta video.
La commissione provinciale di Cosa Nostra stenta a ricostituirsi a causa dei continui arresti, come spiegato da Francesco Pedalino nel 2024. Ogni tentativo di riorganizzazione è stato prontamente smantellato dalle forze dell’ordine.
Un errore fatale ha tradito Nunzio Serio e Francesco Stagno, che durante una conversazione su un carico di droga hanno rivelato i nomi dei partecipanti a una chat riservata, svelando così il gotha mafioso del momento: Tommaso Lo Presti, Guglielmo Rubino, Cristian Cinà e Giuseppe Auteri.
Tra i nomi presenti nella rubrica del cellulare sequestrato figura anche quello di Angelo Barone, imprenditore legato agli affari dei giochi e delle scommesse telematiche. Altri nomi, invece, restano da decifrare, come “Peppe”, “Mirco”, “Nipote”, “Chicco”, “Pitrino”, “Robert De Niro”, “l’uomo Ragno”, “Gesù”, “fratello Peppe”, “compà”, “Juri” e “Barba”.
L’operazione ha visto l’impiego di circa 1.200 carabinieri, supportati da elicotteri e unità specializzate. L’inchiesta ha svelato l’organigramma delle principali famiglie mafiose, i loro affari e l’ennesimo tentativo di ricostituire la Cupola provinciale.
Alcuni dei mafiosi arrestati stavano pianificando la latitanza, temendo l’arrivo di provvedimenti giudiziari. Uno di loro, dopo aver scoperto delle microspie, si è allontanato da Palermo per rifugiarsi al nord. Un altro, invece, progettava di fuggire all’estero con la famiglia, mettendo al sicuro il patrimonio accumulato con i giochi online.
Nonostante l’evoluzione delle strategie, Cosa Nostra non rinuncia alle vecchie regole, come l’indissolubilità del vincolo associativo, paragonato al sacramento del matrimonio. Alcuni affiliati esprimono orgoglio per l’appartenenza all’organizzazione, presentandola come una scelta ideologica.
Tra le fila mafiose emerge la nostalgia per la vecchia Cosa Nostra e i boss del passato, considerati più autorevoli e di maggiore spessore criminale rispetto alle nuove leve. Giancarlo Romano, capomafia di Brancaccio, critica il basso livello delle nuove reclute, rimpiangendo i tempi in cui i boss gestivano affari di ben altra portata.