Palermo – C’è un silenzio che fa più rumore di qualsiasi grido. È il silenzio che avvolge il PalaOreto, un luogo nato per le urla di gioia dello sport e oggi trasformato nel santuario laico del dolore di un’intera città. Al centro della palestra, illuminata da una luce fredda che rende tutto più irreale, c’è la bara di Paolo Taormina. Attorno, un viavai incessante e composto di volti attoniti, occhi arrossati e domande sospese a mezz’aria, tutte riconducibili a un’unica, straziante parola: “Perché?”.
Paolo aveva 21 anni, un sorriso gentile e la passione per il suo lavoro di barman. Una passione diventata la sua condanna nella notte tra sabato e domenica, quando un proiettile lo ha strappato alla vita davanti al locale dove cercava di costruire il suo futuro, “O Scrusciu”. Oggi, il suo corpo è tornato in città, lasciando il Policlinico per ricevere l’ultimo, commosso abbraccio della sua gente.
I genitori, Giuseppe e Fabiola, sono il fulcro di questa tragedia. Sorretti da amici e parenti, accolgono ogni stretta, ogni parola di conforto, con una dignità che annichilisce. Il loro dolore è un abisso in cui Palermo intera sembra specchiarsi. Accanto a loro, il nonno, Luigi Galioto, un uomo che ha speso 40 anni di lavoro onesto in mare, trova la forza di dare voce alla rabbia e allo smarrimento di tutti. “Quell’uomo ha distrutto una famiglia”, mormora con la voce rotta. “Siamo gente per bene, lavoratori. Paolo era un ragazzo che cercava solo di calmare gli animi, di fare il suo dovere. Come si può reagire con questa violenza?”.
È la stessa domanda che rimbalza tra gli amici, che si aggrappano ai ricordi per tenere vivo il loro “gigante buono”. Lo descrivono come un ragazzo mite, un lavoratore instancabile che non avrebbe mai fatto male a una mosca. “Amava il suo lavoro, aveva tutta la vita davanti”, racconta uno di loro, distogliendo lo sguardo dalla bara. “Nessuno di noi riesce a farsene una ragione”.
Sulle pareti del palazzetto, due striscioni provano a raccontare chi era Paolo. Uno lo ritrae felice, al mare, con una promessa: “Ovunque tu sia sarai per sempre nei nostri cuori”. L’altro è un omaggio dei clienti più affezionati del suo pub, i “ragazzi della Noce”: “Paolo, resterai per sempre il nostro barman”. Sono messaggi semplici che, in questo contesto, assumono il peso di un epitaffio.
Anche le istituzioni si uniscono a questo dolore condiviso. Il sindaco Roberto Lagalla, che ha annullato un viaggio istituzionale per essere presente, si è fermato a lungo con la famiglia, lontano dai flash e dalle polemiche dei giorni scorsi. Un gesto di vicinanza che segna un momento di tregua, in cui l’unica cosa che conta è ricordare un figlio di Palermo perduto in modo così assurdo.
“I genitori cercano una verità che al momento non hanno”, spiega l’avvocato della famiglia, Aurelio D’Ancona, sottolineando il vuoto più grande: il movente. L’esecuzione a bruciapelo è un fatto, ma la ragione dietro a tanta ferocia resta un buco nero che inghiotte ogni logica.
Mentre la città si prepara a dargli l’ultimo saluto giovedì 16 ottobre, alle 10:30, nella maestosa Cattedrale, resta l’immagine di quel palazzetto dello sport, dove centinaia di persone sfilano in silenzio per accarezzare un legno freddo, lasciando un fiore o una lacrima. Un ultimo, disperato tentativo di dire addio a un ragazzo la cui unica colpa è stata quella di essere un bravo ragazzo.