L’avvento delle tecnologie digitali ha modificato profondamente la quotidianità delle persone, intervenendo nelle abitudini più radicate e rivoluzionando persino il modo in cui si orientano all’interno delle città. Tra tutte le innovazioni, l’introduzione del GPS, ormai integrato negli smartphone, ha rappresentato uno spartiacque nella gestione degli spostamenti urbani, facilitando la vita non solo di chi si avventura in città sconosciute ma anche di coloro che si muovono all’interno delle proprie aree di residenza.
GPS: un alleato indispensabile negli spostamenti quotidiani
L’utilizzo del GPS ha cambiato in modo radicale la gestione degli spostamenti quotidiani, rendendo obsoleto il vecchio concetto di orientamento basato esclusivamente sulla conoscenza diretta del territorio. Ora, anche in un quartiere familiare, ci si affida spesso alla tecnologia per trovare la strada più breve o per evitare il traffico, un’abitudine che è ormai parte della vita moderna.
Forse sembra scontato, ma prima non era così immediato trovare qualsiasi esercizio commerciale in pochi istanti in qualunque parte della città ci si trovasse, con tanto di orari di apertura e distanza per raggiungerlo. Il GPS, infatti, ha permesso lo sviluppo di mappe virtuali aggiornate e talmente dettagliate da permettere, ad esempio, di trovare tabacchi nelle vicinanze in cui si rivenda il proprio brand di e-cig preferito, anche se si è in viaggio o di passaggio in un quartiere sconosciuto della propria città.
La possibilità di calcolare tempi di percorrenza precisi, con una semplicità che fino a qualche anno fa era inimmaginabile, ha eliminato buona parte dello stress associato agli spostamenti urbani, permettendo di ottimizzare il tempo e ridurre al minimo gli imprevisti, sia per chi sceglie di muoversi a piedi, sia per chi utilizza mezzi pubblici o privati.
Ma come si faceva prima del GPS?
AL contrario, prima della diffusione di dispositivi dotati di GPS, orientarsi in città richiedeva una conoscenza diretta del territorio o, in alternativa, l’uso di mappe cartacee come il celebre “Tuttocittà”, che occupava il vano portaoggetti di molte auto, pronto a essere consultato all’occorrenza.
All’epoca, trovare una via significava seguire un percorso segnato da punti di riferimento fisici come monumenti, negozi e incroci particolari; anche chi si trovava a percorrere zone sconosciute poteva affidarsi a queste mappe, sebbene consultarle mentre si guidava non fosse affatto semplice. Per coloro che preferivano un metodo meno “cartaceo,” la strategia più diffusa consisteva nel chiedere indicazioni ai passanti, una pratica che metteva in gioco una certa capacità di memorizzazione e di ascolto, oltre che un livello di interazione sociale che, in qualche modo, arricchiva l’esperienza del viaggiare.
Riuscire a raggiungere una destinazione dipendeva spesso dall’orientamento visivo e dall’abilità nel collegare informazioni sparse per costruire un percorso sensato, e non era raro che un tragitto si trasformasse in un’avventura, con deviazioni impreviste e scorciatoie scoperte grazie ai consigli degli abitanti locali.
Le due facce del progresso
Se da una parte, dunque, l’introduzione del GPS ha eliminato molte delle incertezze e delle difficoltà legate allo spostarsi in città, dall’altro ha contribuito alla progressiva scomparsa di abitudini che un tempo erano fondamentali per orientarsi.
Ricostruire mentalmente il reticolo delle strade principali o affidarsi alle indicazioni di chi conosceva il territorio erano pratiche meno immediate, ma forse lasciavano spazio a una scoperta più autentica e spontanea dei luoghi, soggetta ad imprevisti, ma libera dall’onnipresente guida tecnologica.