Si allarga l’inchiesta sulla rete di fiancheggiatori che per 30 anni ha garantito la latitanza del boss mafioso Matteo Messina Denaro, arrestato lo scorso 16 gennaio 2023 dopo una lunghissima latitanza e deceduto alcuni mesi fa. I Carabinieri del Ros, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, hanno eseguito un nuovo blitz arrestando tre presunti fiancheggiatori del padrino di Castelvetrano. In manette sono finiti l’architetto Massimo Gentile, originario del trapanese ma residente in Lombardia, il tecnico radiologo dell’ospedale Abele Ajello di Trapani Cosimo Leone e Leonardo Salvatore Gulotta.
Secondo gli investigatori i tre facevano parte della fitta rete di appoggio su cui Messina Denaro ha potuto contare permuoversi, comunicare e gestire gli affari delle cosche durante la latitanza. Un aiuto fondamentale senza il quale sarebbe stato impossibile evitare la cattura per 30 anni.
L’ennesimo colpo inferto alla cerchia di complici del capomafia, il quattordicesimo dalla sua cattura, è parte della complessa indagine per fare luce sulla rete di protezione di cui il padrino ha goduto fino all’arresto. Solo negli ultimi 12 mesi sono finite in manette 14 persone accusate di aver favorito la latitanza contribuendo ad assicurare al boss una vita agiata e una quotidianità quasi normale. Di queste quattro sono già state condannate.
I contorni dell’appoggio garantito dai tre arrestati stanno emergendo dalle indagini guidate dal procuratore Maurizio De Lucia, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Gianluca De Leo e Piero Padova. In base agli elementi raccolti, l’architetto Gentile avrebbe messo a disposizione del boss la propria identità. Un escamotage che avrebbe permesso al ricercato numero uno di acquistare auto e moto, stipulare assicurazioni, aprire conti correnti e compiere normali operazioni bancarie senza destare sospetti. In cambio Gentile gli ha fornito una copertura perfetta che gli ha consentito di mimetizzarsi e muoversi indisturbato dirigendo gli affari dell’organizzazione.
Un episodio paradigmatico dell’aiuto garantito dalla rete di complici risale al 2014, quando Messina Denaro si è presentato di persona in una concessionaria di Palermo per comprare una Fiat 500. Il boss ha esibito un documento falso con la sua fotografia ma i dati anagrafici di Gentile. Un espediente grazie al quale è riuscito ad acquistare l’utilitaria versando 1.000 euro cash e 9.000 euro con un assegno dell’Unicredit. Per questa operazione il latitante ha fornito come recapito telefonico il numero di cellulare di Gulotta, mostrando ancora una volta il perfetto coordinamento e la fiducia tra i sodali.
Ma non è finita qui. Nel 2007, stando a quanto ricostruito dai pm, il boss aveva acquistato tramite Gentile anche una moto Bmw, revisionata e assicurata fino al 2015 sempre sotto falso nome. Un altro tassello di una quotidianità da uomo libero assicuratagli da decenni dalla fitta rete di protezione, oggi in parte smantellata, di cui ha goduto indisturbato fino alla cattura.
L’inchiesta prosegue serrata per identificare tutti coloro che hanno garantito per 30 anni la latitanza dorata di Messina Denaro, permettendogli di condurre una vita pressoché normale da insospettabile imprenditore mentre guidava le redini di Cosa Nostra. Il cerchio intorno ai fiancheggiatori si stringe giorno dopo giorno. E la caccia ai complici non è ancora finit