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Palermo, colpo a Cosa nostra: condanne per 2 secoli di carcere NOMI

La corte ha condannato complessivamente a quasi due secoli di carcere boss, gregari ed estortori.
Ultimo aggiornamento: 26/02/2024 - 19:00
di Redazione Web
Pubblicato 26 Febbraio 2024
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lettura in 3 minuti
Palermo, colpo a Cosa nostra: condanne per 2 secoli di carcere NOMI

La corte d’appello di Palermo ha inflitto condanne per complessivi quasi due secoli di carcere ai vertici e agli affiliati del clan mafioso che gestiva il quartiere Borgo Vecchio. Si tratta di boss, gregari ed estortori appartenenti alla “famiglia” mafiosa che controllava estorsioni e affari illeciti nella zona, arrestati nelle operazioni antimafia inchieste “Resilienza” e “Resilienza 2”.

Le pene più pesanti sono state comminate ai capi del clan. A 16 anni e 10 mesi è stato condannato Jari Ingarao, a 8 Danilo Ingarao, a 7 anni e 4 mesi Gabriele Ingarao, a 2 anni Francesco Paolo Cinà e Vincenzo Marino, a un anno e 4 mesi Giacomo Bologna, Davide Di Salvo e Gianluca Alteri, a 13 anni e 5 mesi in continuazione con una precedente condanna Girolamo Monti, a 10 anni e 4 mesi, sempre in continuazione Giuseppe Gambino, a 13 anni e 4 mesi Salvatore Guarino.

La «famiglia» gestiva affari ed estorsioni nel quartiere e imponeva anche la scaletta delle canzoni suonate nelle feste rionali attraverso l’imprenditore Salvatore Buongiorno che è stato condannato a 6 anni e 8 mesi. Paolo Alongi ha avuto 6 anni e 8 mesi, Giovanni Bronzino 8 anni e 4 mesi, Domenico Canfarotta 8 anni, Giuseppe D’Angelo 2 anni e 4 mesi, Marcello D’India 8 anni e 4 mesi, Antonino Fortunato 6 anni e 8 mesi, Salvatore Guarino 20 anni in continuazione con una precedente condanna. Giuseppe Lo Vetere è stato condannato a 7 anni e 6 mesi, Pietro Matranga a 5 anni, 3 mesi, Francesco Mezzatesta a 2 anni e 4 mesi, Vincenzo Vullo a 4 anni e 8 mesi, Emanuel Sciortino a 7 anni e 4 mesi, Giovanni Zimmardi a 13 anni e sei mesi.

La sentenza conferma sostanzialmente quella di primo grado, con qualche lieve sconto di pena. Resta fermo il quadro probatorio che ha portato alla condanna dell’associazione mafiosa e delle sue attività illecite nel quartiere palermitano. La “famiglia” del Borgo Vecchio, secondo quanto emerso dalle indagini, oltre alle classiche attività di estorsione ai commercianti, gestiva gli appalti e imponeva anche la scaletta delle canzoni suonate nelle feste rionali. Un controllo capillare del territorio, con l’imposizione del pizzo come forma di sottomissione.

Le vittime che si sono costituite parte civile, come Addiopizzo, il Centro Studi Pio La Torre, il Comune di Palermo, Sicindustria, il Coordinamento antiracket, Solidaria, Confcommercio e la Federazione Antiracket, hanno ottenuto il risarcimento dei danni subiti. Si tratta di un duro colpo inferto alla mafia del quartiere palermitano, una sentenza che conferma l’impianto delle indagini coordinate dalla Dda di Palermo e che ha portato alla luce il sistema di controllo mafioso della zona.

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