Mafia e usura nel Palermitano, condanne confermate I NOMI
Confermata in appello la sentenza per il processo “Araldo” e decise pene severe per usura ed estorsione aggravate dal metodo mafioso.
La Corte d’Appello di Palermo ha confermato le pesanti condanne inflitte in primo grado agli imputati del processo “Araldo”, accusati di usura, estorsione ed altro, aggravati dal metodo mafioso. Le indagini condotte da Guardia di Finanza e Carabinieri, coordinate dalla Procura di Palermo, avevano portato alla luce un gruppo criminale che prestava soldi a tassi usurai folli nei comuni della provincia di Palermo, in particolare Bagheria, Ficarazzi e Villabate.
I prestiti avevano tassi che arrivavano fino al 5400% annuo, una cifra incredibile che portava le vittime in una spirale senza fine. Per questi reati sono stati condannati Giovanni Di Salvo a 5 anni e 2 mesi, Alessandro Del Giudice a 4 anni e 2 mesi, Simone Nappini a 3 anni e 1 mese. E ancora Atanasio Alcamo a 4 mesi, Vincenzo Fucarino a 6 mesi, Giovanni Riela a un anno e 8 mesi, Antonino Saverino a 6 mesi, Giacomo Alaimo e Giuseppe Scaduto a un anno ciascuno, Antonino Troia a 2 anni e 2 mesi.
La Corte ha inoltre disposto un risarcimento complessivo di 7600 euro alle parti civili, tra cui l’associazione Addiopizzo che si batte contro il racket del pizzo e che ha ottenuto 2000 euro. Le motivazioni delle pesanti condanne risiedono nell’aggravante del metodo mafioso, in quanto il gruppo faceva leva sulla forza intimidatrice tipica delle organizzazioni criminali per portare avanti i propri loschi affari.
Le vittime erano per lo più commercianti e piccoli imprenditori in difficoltà economiche, che venivano avvicinati con l’offerta di prestiti easy da restituire in poco tempo. Ma gli interessi esosi li intrappolavano ben presto in una morsa senza uscita.
“La nostra scelta di essere attivamente presenti nel processo – dice Addio Pizzo – è la naturale prosecuzione della nostra attività di assistenza concreta alle vittime in un momento in cui quello che più ci preoccupa non è solo il rischio di recrudescenza dell’usura e del condizionamento mafioso di imprese e famiglie in difficoltà. Rispetto a tale pericolo magistrati e forze dell’ordine continuano a operare efficacemente liberando vittime, pezzi di territorio e di economia dal controllo di Cosa nostra. Quello che più ci inquieta è che i vuoti creati dall’azione repressiva possano, nel tempo, rimanere tali se l’accesso al credito per imprese e famiglie in difficoltà resta impantanato tra pastoie bancarie e burocratiche”.