Non sono furbetti del Reddito di Cittadinanza, assolti padre e figlio

I due uomini sono stati sottoposti a processo con l’accusa di avere truffato lo Stato

Non erano furbetti del reddito di cittadinanza. Il tribunale penale di Termini Imerese, Giudice Dott.ssa Alessandra Marino, ha assolto due uomini di Termini Imerese, D.R. e G.R., padre e figlio, dall’accusa di avere indebitamente percepito il beneficio del reddito di cittadinanza.

In particolare, gli inquirenti, a seguito di una più ampia indagine condotta dall’Ispettorato del Lavoro dell’Arma dei Carabinieri, avevano accertato che il sig. G.R. lavorava alle dipendenze di una ditta commerciale operante sul territorio di Termini Imerese, nonostante il padre D.R., facente parte dello stesso nucleo familiare, usufruisse da tempo del reddito di cittadinanza. Dopo una lunga fase di indagine i due uomini venivano quindi sottoposti a processo con l’accusa di avere truffato lo Stato.

Tuttavia i due difensori, Salvatore Pirrone e Francesco Giunta, nel corso della fase dibattimentale del processo, che ha visto acquisire la testimonianza di Ufficiali dell’Arma nonché di altri testi, hanno dimostrato che i rapporti tra padre e figlio, dal lontano 2017, si erano del tutto interrotti al punto tale che il Sig. D.R. viveva in altra abitazione (diversa da quella ove, invece, aveva lasciato la residenza).

La linea difensiva dei due legali Pirrone e Giunta è stata quindi ritenuta valida dal Tribunale di Termini Imerese che ha assolto padre e figlio perché il fatto non sussiste, disponendo, tra l’altro, il dissequestro della carta necessaria ai fini del riconoscimento il Reddito di cittadinanza.

«Abbiamo dimostrato – dicono gli avvocati Pirrone e Giunta -: al Tribunale che i due soggetti da anni non si rivolgevano la parola e che, nonostante il Sig. D.R. avesse mantenuto la propria residenza presso l’abitazione coniugale (ove risiedeva anche il figlio) di fatto sin dal 2017 si era trasferito presso altro domicilio. E’ apparso del tutto evidente che entrambi gli imputati non potevano sapere, reciprocamente, ciò che faceva l’altro». Infine, conclude l’Avv. Francesco Giunta, «si è potuta dimostrare la buona fede del mio assistito, Sig. G.R. che sin da suo primo giorno di lavoro ha preteso e ottenuto dal datore di lavoro che la sua posizione venisse immediatamente denunciata all’INPS».

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