Prete siciliano fa prostituire in chat ragazzini, condanna a 5 anni
Il prete è stato accusato di aver preteso prestazioni sessuali a pagamento attraverso video chiamate da quattro ragazzini di Termini Imerese

La terza sezione della Corte di appello, presieduta dal giudice Antonio Napoli, ha confermato la sentenza del tribunale di Termini Imerese che ha condannato a 5 anni il sacerdote don Vincenzo Esposito, 64 anni di Caltavuturo, per il reato di induzione alla prostituzione minorile. La sentenza ha anche riformato parzialmente la decisione emessa il 22 giugno 2020 dal tribunale, appellata dall’imputato ma anche dalle parti civili. Padre Esposito è stato condannato anche al risarcimento del danno in favore di un’altra “persona offesa”, esclusa nel primo giudizio.
Il prete è stato accusato di aver preteso prestazioni sessuali a pagamento attraverso video chiamate da quattro ragazzini di Termini Imerese, tutti minorenni al momento dei fatti. I versamenti di denaro del sacerdote in favore dei giovani erano di piccolo taglio, dieci, venti o trenta euro per vedere in chat immagini a sfondo sessuale.
Esposito è stato arrestato nel mese di agosto del 2021 insieme alla madre di una delle presunte vittime che, secondo l’accusa, avrebbe lucrato sulle prestazioni del figlio, pretendendo una tangente di 5 o 10 euro sulle somme che il ragazzo avrebbe ricevuto dal sacerdote. Le vittime assistite in primo e secondo grado dagli avvocati Francesco Paolo Sanfilippo, Giuseppe Canzone e Caterina Intile, sarebbero state tutte in una condizione di grave disagio economico e avrebbero utilizzato il denaro per spese frivole come tagliarsi i capelli o andare a mangiare una pizza.
Attualmente il prete è sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari nell’abitazione di un familiare a Termini Imerese. Gli avvocati Giovanni Di Trapani e Renato Vazzana hanno già preannunciato il ricorso alla Corte di Cassazione, dichiarando di ritenere che ci siano i presupposti per ribaltare la sentenza della Corte di appello. Al momento dei fatti, il sacerdote era assegnato alla parrocchia di San Feliciano Magione, in provincia di Perugia. L’arcidiocesi di Perugia aveva precisato che mai alcuna segnalazione era giunta all’autorità ecclesiastica in merito ai fatti oggetto dell’indagine e ha espresso dolore per i fatti gravi che arrecano danno alla società civile e alle autorità religiose.