Una rivoluzione “rosa” è quella che aspettiamo, di cui spesso si parla e che sempre di più viene presa in considerazione nei parlamenti europei e mondiali. La situazione femminile nel mondo del lavoro è argomento di cui si discute in molte sedi e, verrebbe da dire finalmente, anche l’Italia sembra andare in questa direzione.
Negli ultimi tempi sono sempre di più le donne che trovano spazio ai vertici delle rispettive aziende, con una netta inversione di tendenza rispetto al passato quando la maggior parte dei responsabili all’interno delle società erano uomini. Nel 2019, prendendo in considerazione l’intero stivale, sono ormai arrivati a quota 1 milione i dipendenti che possono dire di dover fare riferimento a un capo donna, con il primato che spetta alla Lombardia.

Quello che però balza all’occhio, se si prendono in considerazione i dati forniti dall’Osservatorio per l’imprenditoria femminile di Unioncamere, è l’inversione di tendenza che sta avvenendo in special modo nel sud Italia dove spesso la donna, a un certo punto della propria carriera, è quasi costretta a dover scegliere se avere una famiglia, e quindi prendersi cura della crescita dei propri figli e della gestione della casa, oppure dedicarsi alla propria carriera professionale. In tutto il sud Italia, alle 483 mila attività femminili presenti si deve il 17% dell’occupazione nel settore privato. Ponendo il focus sulla Sicilia nelle imprese femminili c’è una media di 1,84 addetti, un numero certamente inferiore a quello di Lombardia e Trentino Alto Adige, ma superiore a quello di Basilicata e Molise. Il peso specifico però degli addetti nelle imprese Siciliane raggiunge il 18,97% decisamente superiore a quello della Lombardia che arriva al 10,51%. Elevato anche il tasso di femminilizzazione delle imprese siciliane che si attesta al 24,4%, al sud secondo solo a Basilicata e Abruzzo, con un totale di 113.309 imprese femminili, quarto dato nazionale.
Una maggior considerazione del ruolo della donna si sta registrando in tutti i settori, non solamente in quello lavorativo e un esempio lampante lo si può vedere anche nello sport. Che un cambiamento stia avvenendo nella nostra società è ormai innegabile, infatti, il 2019 sarà ricordato anche per l’anno del primo mondiale di calcio femminile a essere trasmesso in tv. Le azzurre sono riuscite a far emozionare milioni di tifosi italiani e, per la prima volta, le migliori calciatrici del mondo si sono potute mettere in mostra per gli appassionati. Tant’è che dopo il grande successo di pubblico che ha avuto la manifestazione iridata, si pensa che anche in Italia il calcio femminile dovrebbe essere considerato professionistico, al pari di quello maschile. Intanto, proprio come i gli uomini avranno le partite trasmesse sulla pay tv satellitare che ne ha già acquisito i diritti, anche se gli stipendi percepiti dalle atlete non sono minimamente paragonabili a quelli dei propri colleghi maschi.

Quello che oggi in Italia sembra una grande crescita, però, non lo è se paragonata ai dati europei dove, nel 2018, l’occupazione femminile raggiungeva il 63,7% contro un misero 49% del bel paese e un ancora più basso 29% in Sicilia.
Nel mese di maggio, era stata proprio la palermitana Giulia Bongiorno, Ministro per la pubblica istruzione, a porre l’accento su quella che ancora oggi è una condizione sfavorevole per le lavoratrici femminili. Il Ministro Bongiorno, a più riprese, ha sottolineato la mancanza di servizi di sostegno alla genitorialità e un welfare adeguato alla situazione di donna lavoratrice e madre che consenta una giusta conciliazione tra lavoro e famiglia.
La crescita avvenuta nell’ultimo periodo in Italia fa quindi ben sperare per quella che deve essere la direzione da intraprendere nel mondo del lavoro, dello sport e della vita in generale, per parificare al massimo i diritti tra uomini e donne, ma questo non deve far pensare che l’obiettivo sia già stato raggiunto. Non ci si può “sedere sugli allori” di quanto fatto fino a questo momento, ma è necessario continuare a crescere per fare in modo che si riesca ad ottenere il massimo possibile anche per la popolazione femminile, elemento portante di uno sviluppo sociale sostenibile, come già avviene nel resto d’Europa, dalla quale dati alla mano siamo ancora molto lontani.